"Io o Nessuno, Essere o non Essere”.
“Colui che ci ha dotati di una mente sì vasta da vedere il prima e il dopo, non ci largì questa capacità col divino don della ragione, perché ammuffisca senz’essere usata”. (Atto 3, Sc. 8)
Quante strade confondono gli uomini. Ascoltare le sirene di un mondo che, per farti notare, ti chiede di fare rumore e di non chiudere le orecchie con la cera. Ulisse resistette davanti alle Sirene, mise in campo l’astuzia davanti al potere rappresentato dal Ciclope.
I suoi amici preferirono non restare soli, essere trasformati dal potere oscuro della magia e lasciarsi ammaliare dalle false voci per poi restare prigionieri. Cosi come noi che, oggi, siamo portati a chiederci se è bene vivere una vita omologata o, per amore della verità, correre il rischio di restare soli.
“Essere o non essere”, vivere o morire, ripeteva Amleto nella sua enigmatica frase. Qui non si tratta di una fine fisica, ma del rischio di chiudersi ai sentimenti di libertà, di amore verso il prossimo e di uguaglianza nella diversità. Era questo il viaggio introspettivo che fece Ulisse che, per conquistare nuovi equilibri e ridisegnare i propri confini, viaggiò mettendo a rischio ciò che più gli era caro: la famiglia.
Amleto fece altrettanto, chiedendosi ripetutamente se era quello il vero modo di vivere o era preferibile impazzire all’idea di dover essere costretto da quanto, per motivi contingenti, doveva fare: la vendetta, la morte, la maledizione.
È questa la nostra Odissea, un viaggio che continua con la vita, le nostre storie, raccontate da Omero, Walcott, Joyce, perché l’Odissea è un poema scritto ogni giorno da quelle migliaia di profughi che affrontano lo stesso mare attraversato da Ulisse.
Affidarsi all’acqua o alla materia grigia (il teschio di Amleto)? La risposta è nella salvezza dell’Umanità.