Al riparo di un cappellino di lana
Dal battesimo di François avvenuto il 6 gennaio, al Natale della redenzione, in una casa circondariale femminile. Un anno dipanato come un gomitolo di lana, in un mondo dove ogni giorno, la cultura dello scarto, esclude i giovani, gli anziani, i profughi; e noi, aggrappati con loro, a un filo che ha resistito, un semplice filo di lana, scialuppa di vita, ancora d’amore.
Buon Natale
Tommaso Maria Ferri
Il 7 maggio scorso il Santo Padre ci disse "Continuate cosi" e tutti insieme stiamo facendo cose meravigliose.
Si perde memoria, come è giusto che sia, del bene donato. La gioia della vita con un cappellino, la voce della pace con la radio, i kit igienico sanitari per i profughi, la casa degli aquiloni con tutti i bambini a scuola... e la voglia di continuare. Anche questo deve essere un incoraggiamento per tutti noi, riuscire con la buona volontà a fare cose apparentemente impossibili e condividere la felicità che abbiamo dentro. Dal 5 settembre riprendiamo la raccolta del materiale igienico sanitario (spazzolino, dentifricio e saponetta); facciamo appello alle preziose dita di chi ama lavorare a maglia per i cappellini e le scarpette di lana per neonati nati prematuri; e timidamente tendiamo la mano a chi con generosità potrà aiutarci economicamente ad accompagnare i tanti bambini a scuola anche impegnandosi nelle adozioni a distanza.
Vi è mai capitato di essere in macchina, raggiungere una qualunque città e avere la sensazione di visitare contemporaneamente più Paesi del Mondo? A me è successo. Fare del bene è possibile e poter aiutare il prossimo è quella dose giornaliera di vera gioia che ci fa amare la vita in tutte le sue forme perché da un lato ci rende consapevoli della fortuna che abbiamo, ma allo stesso tempo ci spinge a tramutare quella stessa fortuna e a trasmetterla a chi la conosce solo in parte. Quanti di noi si domandano ogni giorno, “starò facendo la cosa giusta? ”… ecco, fare volontariato è una di quelle. Sapere di fare la cosa giusta arricchisce il nostro spirito, la nostra anima, il nostro cuore. Basta lasciarsi trasportare all’intensità di quegli occhi così profondi di bambini, donne e uomini, mai segnati dalla stanchezza, nonostante le dure prove della vita, per ritrovare in noi la forza e il coraggio di andare loro incontro, afferrare le loro mani e dire: “Io ci sono fratello mio”. Perché la loro pelle è la nostra pelle, un involucro sottile che riveste gli stessi organi vitali ma che il mostro del pregiudizio tende ad ispessire, creando quell’inutile distanza che non ci porta da nessuna parte. Un padre di famiglia ha deciso di accorciare quella distanza, di arginare il problema della lingua parlando il linguaggio universale dell’amore, comprensibile da tutti, che ci unisce rendendoci meno soli e che ci fa sentire finalmente figli della stessa Terra. Tanti i sogni, ma anche tanti i progetti realizzati, perché le parole non bastano. Occorrono aiuti pratici, servizi ed è così che si viene a creare una fitta rete di relazioni, di comunicazioni che possano contribuire al raggiungimento di quell’unico grande obiettivo: migliorare le condizioni di vita.
È necessario unire le forze, discutere, mettere in campo nuove ed efficaci idee. Etiopia, Filippine, Angola, Papua Nuova Guinea, Pakistan, Sud Sudan, Togo… le zone in cui si sente forte la presenza della Fondazione Rachelina Ambrosini e di tanti operatori che nella solidarietà cooperano per il benessere, per la salute di quanti restano nel loro umile silenzio, dimenticati dal Mondo.
Ci commuoviamo di fronte alle immagini che imperversano nei nostri televisori, ci inteneriamo e ci sentiamo il più delle volte in colpa per non essere al loro posto, ma molto spesso, purtroppo, il tutto si limita alla compenetrazione di quei pochi minuti. Ci autoconvinciamo di essere impotenti di fronte a tanta indigenza, di non sapere come fare, come muoversi, a chi rivolgersi o di chi fidarsi… già, perché la fiducia ricopre una percentuale importante. Sapere che il proprio aiuto è arrivato a destinazione e ha portato frutti ci fa sentire piccoli artefici di un disegno più grande di noi, ci sprona a voler fare sempre di più, ad unire le forze e a spargere la voce, quella voce flebile che come il vento arriva dal deserto e lentamente passa da un orecchio ad un altro.
Ve lo ricordate il film “Un sogno per domani”? Quel gioco-progetto chiamato “Passa il favore”, creato dal bambino come risposta ad un compito in classe assegnato dal professore di scienze sociali, non è poi così distante da questo discorso. Quella stessa catena della bontà che aveva fatto il giro del mondo non può e non deve essere spezzata, ma questo accade solo se gli anelli di cui è composta restano ben ancorati l’uno all’altro. Tornando al nostro viaggio, la macchina del mio papà non ha fatto tanti chilometri, la meta era vicina… eppure per me siamo arrivati lontano… tanto lontano…
Raffaella Ferri
Simple Social Media Stream: There is no feed data to display!
Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti, per offrire ai visitatori un servizio e un'esperienza migliori. Continuando la navigazione accetti l'utilizzo dei cookie